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Organizzati! Idee di una procrastrinatrice per concentrarsi e portare a termine le cose

Scritto da Letizia Sechi 21/01/2019
Organizzati! Idee di una procrastrinatrice per concentrarsi e portare a termine le cose

tl;dr: Sapersi concentrare è un esercizio, lo è stato in ogni epoca. Ti propongo qualche metodo per riuscirci anche nella nostra.

«La concentrazione è un’arte la cui difficoltà sta nel dover conciliare costantemente la dissonanza tra se stessi e il mondo»: leggo queste parole nella newsletter di Brain Pickings che recupera un articolo del 2016 sulle idee della poetessa americana Mary Oliver  (mancata proprio in questi giorni) riguardo tempo, concentrazione e altro intorno alla creatività. Racconta anche che già Eugène Delacroix si lamentava della necessità tormentata di allontanarsi dalla vita sociale per mantenere la propria carriera creativa, ricordandoci che le difficoltà nel concentrarsi non sono nate nella nostra epoca.

Tornando a Mary Oliver: secondo la poetessa ciò che interrompe la nostra attenzione non proviene solo dall’esterno. Sono ben tre gli “io” interiori capaci di distrarci con irresistibile efficacia. Lo racconta in questo modo*.

It is a silver morning like any other. I am at my desk. Then the phone rings, or someone raps at the door. I am deep in the machinery of my wits. Reluctantly I rise, I answer the phone or I open the door. And the thought which I had in hand, or almost in hand, is gone. Creative work needs solitude. It needs concentration, without interruptions. It needs the whole sky to fly in, and no eye watching until it comes to that certainty which it aspires to, but does not necessarily have at once. Privacy, then. A place apart — to pace, to chew pencils, to scribble and erase and scribble again.

But just as often, if not more often, the interruption comes not from another but from the self itself, or some other self within the self, that whistles and pounds upon the door panels and tosses itself, splashing, into the pond of meditation. And what does it have to say? That you must phone the dentist, that you are out of mustard, that your uncle Stanley’s birthday is two weeks hence. You react, of course. Then you return to your work, only to find that the imps of idea have fled back into the mist.

Un’idea interessante proprio se pensiamo alla contemporaneità, in cui la colpa della nostra distrazione ricade sempre su questi strani strumenti del demonio oggetti, le nuove tecnologie, colpevoli di invadere il tempo che altrimenti dedicheremmo per certo a nobili scopi, come la lettura in lingua originale di “Guerra e pace”, minuziose visite ai musei, il confronto meditato di almeno tre esecuzioni integrali de “L’anello del Nibelungo”.

Vi siete sorbiti questo preambolo perché mi fa piacere raccontarvi in che modo una freelance procastrinatrice e perdigiorno – ora beffata dall’essere anche madre e obbligata a mettersi in riga – riesce a:

  1. pensare a cosa c’è da fare su più fronti (figlia-casa-lavoro-se stessa);
  2. dare un ordine alle cose che ha pensato di fare;
  3. farle, per giunta.

La prima parte del trucco è che due fronti (figlia-casa) sono un lavoro di squadra: entra nell’equazione l’elemento “marito”. La seconda parte è un mix perfetto, per me: mettete in pentola uno smartwatch, delle notifiche al momento e al posto giusto, quaderni e penne colorate a volontà. Ora vi dico come li mescolo.

Notifiche intelligenti dal grillo parlante

Apple Watch


Questo Natale mi sono voluta levare un capriccio e ho comprato l’Apple Watch. Ho ignorato tutte le sirene del “ma che te ne fai!”, “mica sei così sportiva!”, “è un altro coso inutile che divorerà la tua attenzione!” e lo indosso dall’inizio di dicembre. Ho trascorso gran parte del tempo uscendo poco di casa, tra il rimettermi dalla gravidanza, il freddo e la bambina appena nata: se è vero che mi sembra ancora di sfruttarlo poco, mi sono già resa conto di alcuni benefici.

Uso molto meno il telefono

Su iOS 12 c’è una funzione che monitora il tempo di utilizzo dello smartphone: a quanto pare da quando ho l’Apple Watch questo tempo si è ridotto da 5 ore al giorno a circa 3 e mezzo. Com’è possibile? Avete presente quando prendete in mano il telefono per controllare un messaggio appena arrivato e vedete l’icona di un’altra app che vi distrae? Finite per aprire quella, ci passate un quarto d’ora e poggiate il telefono senza aver letto il messaggio, dimenticandovene. Poi vi torna in mente, e il ciclo riparte da capo. Un quarto d’ora per volta si perde un sacco di tempo.

Lo smartwatch mi ha permesso di far sparire tantissime di queste digressioni, se vogliamo chiamarle così. Se ricevo un messaggio distinguo già dal tipo di vibrazione dell’orologio su che app di messaggistica è arrivato; so – in base al mio modo di utilizzarle – quanto è urgente (Whatsapp in genere lo è più di Messenger, per esempio); un movimento del polso mi permette di leggere buona parte del messaggio già dalla schermata dell’orologio anche mentre sto cambiando un pannolino e non posso allontanarmi dalla bambina: se è mio marito che dice “apri, sono senza chiavi” me ne occupo subito, altrimenti si tratta di qualcosa che può aspettare. Per gran parte della giornata il telefono non so nemmeno dove sia.

Una migliore gestione delle notifiche

Il rischio di essere ancora più schiava delle notifiche per il momento non si è rivelato reale, anzi: avere al polso un oggetto davvero utile solo se sono gestite con più intelligenza mi ha portata a riflettere anche su come uso quelle sullo smartphone. Da almeno cinque anni, a causa del mio lavoro chiassoso proprio in termini di notifiche, avevo già ridotto al minimo le app autorizzate a inviarne, anche a livello personale.

Le ho completamente bloccate su Facebook e Instagram; sono attive solo con il contatore sull’app per Twitter; ho un solo indirizzo mail abilitato al download automatico ogni quarto d’ora (e al conseguente avviso). Insomma: il mio telefono da tempo è già discretamente a prova di disturbo. La distrazione è già alta per la sola presenza delle app dei social network: in questo modo ho qualche chance in più di decidere io quando aprirle, senza aggiungere la sollecitazione del pallino rosso da azzerare.

Liste potenziate per smemorati: il bullet journal

liste

Sono la tipica persona con la scrivania disordinata e appunti ordinatissimi: funziono così fin dai tempi di scuola. Ho fatto due scuole contemporaneamente (il liceo classico e il conservatorio), il ché mi ha dato una certa abilità nel barcamenarmi tra scadenze e priorità, imparando a scegliere anche cosa sacrificare. Quando ho cominciato a lavorare ho fatto un passo in più: se fossi riuscita a trovare lo strumento giusto per liberare più spazio mentale possibile da un certo tipo di informazioni potevo dedicarlo a pensieri più complessi e lavorare ancora meglio.

Perché occupare spazio in memoria (intendo quella della mia testa, decisamente limitata) per ricordarmi della riunione di giovedì alle 15? Quello che mi serve è una notifica che mi avvisi martedì alle 10 che devo preparare un certo documento per la riunione di giovedì alle 15, che un’altra notifica mi ricorderà giovedì alle 13. Mi serve questa notifica solo sul computer dell’ufficio, non sul mio telefono personale, da cui, quando lavoravo come dipendente, tenevo fuori il più possibile i messaggi lavorativi fuori orario**.

Il (non)metodo che non funzionava erano gli appunti sparsi in mille foglietti, post-it, quaderni lasciati a metà: di quegli appunti, in ufficio, non riuscivo mai a mettere a frutto niente. Figuriamoci se riuscivo a esaurire improbabili liste chilometriche di cose da fare. Ora che lavoro da casa sono riuscita a trovare un sistema molto efficace per tenere traccia di idee e appuntamenti, che siano personali o professionali.

Per fare bene una lista bisogna saper stabilire le priorità

Una versione personalizzata e triviale della matrice di Eisenhower

Il problema delle liste di cose da fare è che ci vuole un buon metodo nel farle. Pensate alla freelance procrastinatrice che rimanda al giorno dopo 3 attività importanti, 5 urgenti e comincia dall’ultima cosa che dovrebbe fare perché è quella che le viene meno a noia. Non può funzionare.

Confesso subito: non sono nemmeno lontanamente scientifica nell’applicazione di metodi come quello Eisenhower. Anche solo vedere la matrice, però, aiuta a pensare le attività secondo un criterio e a stabilire come pianificare le prossime azioni. Il quadrante “non urgente – non importante”, per esempio, nel mio caso non sempre contiene qualcosa da non fare categoricamente, né per forza da delegare: magari contiene “giocare 2 ore a The Last of us“, attività che di certo non intendo delegare, ma che non posso nemmeno inserire tra le cosa da fare con urgenza o prossimamente. Purtroppo.

Il punto è sgombrare la mente dallo sforzo di ricordare una lista di cose da fare, ciascuna con tempi e date precise, priva di criterio, oltretutto. Appuntarle in un elenco ragionato ci evita di sentirci costantemente in sovraccarico, in urgenza perenne, e con in testa fissa la domanda “avrò chiuso il gas?”.

Il metodo bullet journal

Bullet Journal
Dal sito del metodo bullet journal originale, bulletjournal.com

Il bullet journal è un sistema su carta creato da Ryder Carroll, un designer americano. Carroll dice che il bullet journal serve “per aiutarci a tenere traccia del passato, organizzare il presente e pianificare il futuro”, ma non pensate a un diario. È più un sistema rapido per prendere note su qualunque argomento o cosa da fare: non ha limiti di tema né di struttura. È un metodo flessibile per gestire e organizzare idee e azioni in liste.

Il bullet journal per lavorare

Preferisco tenere separato il dettaglio delle attività lavorative dalle cose personali, quindi ho un quaderno a parte per organizzarle. O meglio: tendo ad avere un quaderno per cliente. Follia? No: è adatto al mio modo di lavorare con pochi clienti di lungo periodo, auspicabilmente almeno un anno. Se immagino che un cliente non avrà bisogno di un intero quaderno rispolvero il vecchio metodo della scuola elementare: da un lato lo uso per un cliente, quando serve capovolgo il quaderno e dall’altro lato uso le pagine finali per un altro.

Su questi quaderni ho in genere 5 tipi di liste:

  1. l’impostazione generale del progetto, con le scadenze principali;
  2. le scalette dei documenti che ho previsto di rilasciare nel corso del progetto;
  3. le scalette per le riunioni;
  4. la lista di cose da fare il giorno dopo, che compilo nel corso della giornata con dei limiti in termini di quantità;
  5. spazio per valutare nuove idee fuori progetto.

Sono quaderni disordinati nella forma, ma non nella sostanza: non faccio caso alla penna che uso, a una bella grafia, a cancellature e allineamenti imprecisi. Mi servono per essere efficiente, non perché siano belli da vedere. L’unica lista in cui bado all’ordine è quella delle cose da fare il giorno dopo: scriverla con più calma mi aiuta a ripensare alla giornata lavorativa e a organizzare con criterio le priorità.

La giornata di lavoro successiva inizia sempre dalla lista di cose previste per la giornata: esaurisco subito le più veloci (mandare la mail a tizio, programmare un contenuto se ho tutto il necessario a disposizione), poi passo alle cose che richiedono più riflessione o la collaborazione di altri colleghi. Se tutto ha funzionato bene rimane anche il tempo di anticipare qualcosa di previsto per i giorni successivi.

Avendo la fortuna di lavorare con persone più che piacevoli con cui parlare, in genere fisso riunioni e telefonate nel dopo pranzo (e in ogni caso con parsimonia, per rispetto verso il tempo di tutti). Può sembrare una cosa tremenda, la riunione del dopo pranzo, ma nell’organizzazione della mia giornata è un buon momento: dopo la concentrazione della mattina che interrompo con un’attività pratica come preparare il pranzo (e consumarlo con calma!), mi fa piacere riprendere il lavoro in modo “sociale”. È importante curare anche questa dimensione, specialmente lavorando da casa.

Il mio bullet journal personale

Il bullet journal in cui gestisco scadenze e attività personali è tutto un altro campionato. Decisamente frou-frou, è il mio spazio per rallentare, riflettere bene sui punti della matrice, selezionando ciò che ritengo davvero importante nella sfera più importante di tutte: quella personale, appunto. Per me stessa, per esempio, viene prima trovare il tempo per leggere o per andare in piscina? E come si concilia questa scelta apparentemente irrilevante con il tempo da dedicare a mia figlia? In che modo posso farmi aiutare da mio marito e aiutare lui, in base all’organizzazione delle sue giornate?

In questo quaderno mi piace usare una bella penna, scegliere abbinamenti di colori, dedicare spazio a obiettivi di lungo periodo per migliorare le mie giornate senza scadenze pressanti. Per esempio: l’obiettivo di leggere qualcosa tutti i giorni non è né urgente né importante, se la vogliamo dire con il metodo Eisenhower, ma mi aiuta a conservare un poco di spazio per fare qualcosa che amo molto e che proprio per questa ragione spesso tendo a sacrificare. Magari il mese prossimo potrei scegliere l’obiettivo di ascoltare una nuova sinfonia al giorno.

Perché sento il bisogno di tracciare e pianificare cose del genere? Per ricordarmi che anche la qualità della vita, le cose belle e che ci piacciono, hanno bisogno di un loro spazio. Magari piccolo, senz’altro curato: l’importante è che esista. Mi fa stare meglio e mi ricorda cos’è che dà senso a tutto il resto.

No, non è il mio bullet journal. È per farvi capire con quanta calma uno se la può prendere nel pensare le pagine. @journautical

I bullet journal e le notifiche

Assolta la parte naïf, veniamo al concreto. Ho sempre avuto un problema con le agende di carta, che nemmeno il bullet journal risolve: mi serve un’agenda per ricordarmi di controllare l’agenda. Ma qui tornano in gioco le nostre notifiche! Uso tre applicazioni per semplificarmi la vita. Può sembrare assurdo (tre applicazioni per semplificare la vita?!), forse lo è, ma per me questa combinazione di carta e digitale è vincente. Oltre alle app, faccio un larghissimo uso di sveglie e timer: vi dico come.

Wunderlist

Versatile su qualunque dispositivo, permette di creare liste (con sottoliste!) di cose da fare – o task, se volete fare gli americani – dandogli una scadenza e impostando anche una data diversa per il promemoria, se occorre. Le liste possono essere raggruppate per categorie e condivise. Deposito qui le scadenze che non amo avere sul calendario, perché sono le tipiche cose che potrei aver bisogno di rimandare ma che ho bisogno di avere sotto gli occhi.

Qui tengo liste di piccole azioni (“fai la lettura del gas”, “prenota l’appuntamento dal pediatra”) o promemoria distanti nel tempo (“manda la fattura a fine mese”), in modo da non ridurmi all’ultimo minuto a dover trovare il tempo per farle. Wunderlist, per esempio, è un ottimo alleato per gestire le scadenze legate alla contabilità e all’amministrazione della libera professione.

Google Keep

Scelta un po’ per caso, è un’app essenziale (e pure un po’ bruttina) per fare liste condivise. Ne esistono senz’altro di migliori e più specifiche, ma per me e il marito è buona abbastanza per segnarci la lista della spesa, così che chi si trova a portata di supermercato può provvedere senza brancolare nel buio. Ok, diciamoci la verità, lui provvede, io compilo. Ok, anche lui compila. Ok, menomale il marito fa la spesa, se no qui ordineremmo pizza ogni sera.

Google Calendar

È dove segno gli appuntamenti: visite mediche, riunioni, cene o incontri con amici. Tutto ciò che può implicare un’uscita da casa e un ingombro di tempo di qualche ora. Sono una talebana delle impostazioni di notifica: cambio sempre quelle di default eliminando l’invio dell’email e lasciando due notifiche, una qualche giorno prima e una qualche ora prima, a seconda di quanto è lontano il posto da raggiungere. Google Calendar ovviamente è prezioso anche per la possibilità di aggiungere invitati e dettagli all’evento: per tutto ciò che riguarda la bambina è utilissimo (quante volte voi dimenticate di dire a compagni e compagne di aver preso l’appuntamento in data tale, se dovete andarci insieme?).

Sveglie e Timer

Ci sono poi delle attività spicciole per cui il tempismo è tutto. Ho appena infornato la torta? Zac! Timer di 25 minuti. Nel frattempo posso stendere i panni e mandare una mail (e spuntare una voce dalla lista delle attività del giorno). Meglio di pomodoro! Ma se nel frattempo preparo anche un tè? Sicuro che me lo scordo, e che trovo una tazza gelida e nera come il petrolio. Per questo ho stappato una bottiglia (di acqua minerale) quando ho scoperto MultiTimer. Avvio tutti i timer che servono e ciascuno ha anche il suo nome, casomai mi fossi scordata perché l’avevo impostato.

La cura di me: sport e meditazione

Nel 2014 avevo cominciato a nuotare almeno tre volte a settimana, e l’ho fatto per un paio d’anni di fila. Avevo scelto questa attività anche perché in acqua si deve necessariamente stare lontani dal telefono, e sentivo un grande bisogno di impormi questo distacco e mantenerlo per almeno qualche ora. Che si trattasse di FOMO o solo di rimbambimento, la terapia è servita: ho realizzato che il mondo era ancora fuori e tutto intero anche se non rispondevo a un messaggio in pochi minuti.

In piscina uso un vecchio Garmin Swim, meravigliosamente offline, ma in grado di darmi la soddisfazione di vedere quantificato quanto sono schiappa come progredisco nel nuoto. L’app di Garmin, migliorata negli ultimi tempi, può trasmettere le informazioni anche alla centralina “Attività” di Apple: abbastanza brutta, ma utile da vedere a colpo d’occhio sullo smartwatch.

Meditazione, per una persona poco spirituale come me, è un modo sintetico per dire “mi prendo 10 minuti di silenzio per respirare come si deve e pensare alle cose che mi fanno affrontare bene la giornata”. La respirazione è la chiave del rilassamento e della concentrazione: anni di musica e strumenti a fiato me l’hanno insegnato più che bene.

Ci sono un paio di app che trovo interessanti: la mia preferita è Calm, che ho usato molto lo scorso anno; quest’anno sto provando Headspace, anche se non mi ci sto affezionando più di tanto. Forse ha ragione chi dice che si soffra di una sorta di imprinting da paperette: la prima voce che guida la meditazione è quella che riusciamo a seguire meglio, e cambiare app non è facile.

Imparare a concentrarsi sul respiro e ad ascoltare il proprio corpo è un esercizio utilissimo e solo in apparenza banale. Insegna a ignorare gentilmente gli “io” disturbatori di cui parlava Mary Oliver all’inizio di questo post, e a concedergli spazio solo quando è il loro turno. Sapersi concentrare è uno sforzo, lo è stato in ogni epoca. È importante che troviamo un modo per farlo anche nella nostra.

Note

*La citazione viene da The Third Self: Mary Oliver on Time, Concentration, the Artist’s Task, and the Central Commitment of the Creative Life in cui trovate i riferimenti bibliografici e il resto del ragionamento condotto da Maria Popova.

**Non sono mai stata vittima del pessimo costume – molto italiano – di rendersi (o fingersi?) presenti 24 ore su 24 per qualunque capriccio di capi e colleghi.

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