È dal 2010 che mi capita di raccontare eventi di vario genere attraverso Twitter. La prima volta era la prima edizione di Books in Browsers, a San Francisco. Di quell’esperienza mi è rimasta l’idea di poter moltiplicare conversazioni e relazioni con chi era in sala e anche con chi non poteva esserci, amplificando la ricchezza già grande della conferenza a cui mi trovavo. Questa idea rimane ancora, per me, al centro del senso di questo tipo di racconto.
Dopo quell’occasione, la quantità di Live-tweeting che mi è capitato di seguire è aumentata parecchio, sempre più spesso nascosta dietro un logo ufficiale. Questo, oltre a spiegare quella buffa circostanza per cui sono presente a tanti eventi ma da @letiziasechi si sente raramente dire qualcosa, mi ha permesso di raccogliere un campionario di esperienze intorno al Live-tweeting abbastanza curioso. E ha poco a che fare con la parte “tweeting”.
Nella parte “Live”, anche se segui l’evento per lavoro, non necessariamente hai una postazione comoda. A seconda di quanto durerà avrai con te diversi strumenti, ma di certo avrai un incubo costante: la durata della batteria. Se sei la voce ufficiale dell’evento non puoi scomparire sul più bello. Sviluppi un senso acutissimo: il rilevamento in sala della presa di corrente incustodita.
Nella parte “Live”, proprio perché in genere non hai una postazione dedicata, intorno a te ci sono delle persone. Intendo quelle normali, in carne e ossa. Negli eventi a cui partecipo più spesso, su digitale e dintorni, è facile che siano persone esperte, che sanno cosa stai facendo (e con cui, diciamolo, commentare a margine è uno spasso). Negli ultimi tempi mi è capitato di dover fare Live-tweeting in mezzo a persone molto diverse. Una volta una signora che occhieggiava il mio monitor, incuriosita, completamente all’oscuro di cosa stessi facendo. E a cui l’ho spiegato volentieri. Un’altra volta, invece, ne ho incontrata una che – seccatissima – mi intimava di spegnere tutto: pare che lo scroll dei tweet sul mio schermo le impedisse di seguire con la dovuta attenzione il discorso (con buona pace della signora: no, non ho spento tutto).
Ti abitui a una serie di stranezze: colleghi a cui vengono in mente fiumi di domande proprio mentre stai cercando i migliori 140 caratteri per sintetizzare la frase del secolo; messaggi dell’amico che sente il bisogno di chiederti “ma stai twittando tu?” (non sapesse che lavoro fai!); rapidissime guide per aiutare chi, mentre sei concentrato, ti chiede “anche io voglio seguire! Come si fa?”. Sviluppi un’abilità: il generatore automatico di risposte alle domande secondarie, mentre continui a raccontare.
Mentre nel cosiddetto “mondo reale”, insomma, succede di tutto, il tuo racconto dell’evento in rete procede con la speranza di riuscire a restituire a chi è in ascolto il senso di quello che succede dal tuo lato dello schermo. È bello quando chi non è fisicamente presente partecipa, fa domande, interviene. È bello quando chi è presente scambia opinioni via Twitter. È bello quando magari ci si scrive via Twitter e poi, in una pausa, si approfitta per scambiarsi un saluto. Vedere le relazioni entrare e uscire dagli schermi.
La parte “Live” del Live-tweeting è quella che non dobbiamo dare per scontata, di cui parlavo all’inizio. Qualunque sia l’argomento di cui si parla, la parte “Live”, per me, è quella che permette di creare relazioni e aumentare il valore delle conversazioni che stiamo portando avanti. E non cambia che scorrano su una timeline o siano battute con la persona seduta accanto. La parte “Live” sono le relazioni, dentro e fuori lo schermo. Ma questo, se abitate la rete, non vi stupisce. È la parte “Live” della rete, ma per capirlo non serve la tecnica, serve viverlo.
#pzsmart il digitale non è una tecnica ma una cultura. Per comprenderla occorre viverla (@tedeschini)
— Letizia Sechi (@letiziasechi) September 4, 2013
In due righe
Spero non vi aspettaste una guida tecnica sul come fare il Live-tweeting. In compenso ce n’è una ottima tra quelle di Twitter stesso, se avete bisogno di un ABC.