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FormazioneFreelance

Il consulente che non studia

Scritto da Letizia Sechi 24/08/2019
Il consulente che non studia

Nella mia cerchia di contatti, anche quando lavoravo ancora in casa editrice, i liberi professionisti sono sempre stati tanti. Da come raccontavano i loro impegni, sembrava che una parte consistente del loro tempo fosse dedicata a conferenze e formazione, e nel secondo caso sempre in veste di docente.

Possibile che intorno ai 40-50 anni non ci fosse più bisogno di imparare niente, mi chiedevo? Che ci si potesse dedicare solo a insegnare ad altri senza aggiornarsi o arricchire la propria conoscenza? Può darsi che si studi senza raccontarlo, naturalmente. Ma perché no? È qualcosa da non dire? E se invece si smette proprio di studiare, è sano? È davvero possibile che si sia visto e capito tutto, e che tutto sia stato già detto nel 2005, per dire un anno a caso?

Negli ultimi anni in cui lavoravo ancora da impiegata e in un ambiente poco stimolante, non studiare mi dava la sensazione di far crescere la muffa nel cervello. Per prendere una boccata d’aria, nel 2016, mi ero iscritta al Master in Architettura dell’informazione e User Experience Design: volevo dare basi più solide a cose che in pratica mi ero trovata a fare per istinto e in modo disomogeneo, con la sensazione di non avere mai padronanza del quadro generale, di non essere abbastanza competente. Non mi è mai piaciuto sentirmi approssimativa.

Digressione per boschi e sottoboschi

Studiare sottobosco

Esiste un fitto bosco di persone che impegna una dose di tempo imponente nella manutenzione e nell’amplificazione della propria presenza online. La faccenda del personal branding un tempo era (o sembrava) imprescindibile, almeno in certe bolle. Forse rimane tale, e sono solo io ad aver cambiato bolla: trovo che faccia meglio al mio spirito circondarmi di persone meno affannate a mostrarsi e più concentrate a costruire e condividere. Il rischio del personal branding, come diceva già molto tempo fa la mia amica Daria, è che si finisca per avere “la reputazione online di avere una reputazione online”.

Non riguarda solo i liberi professionisti: abbiamo avuto tutti, in azienda, colleghi che investono l’80% del tempo a dire quanto lavorano e a far apparire colossale anche un risultato immaginario. “Chi urla di più, la vacca è sua”, mi aveva insegnato una collega.

Nel rumore della rete le personalità ingombranti soffocano il sottobosco, togliendogli la luce. Falsano la percezione: tutto sembra concludersi in proclami altisonanti, onniscienza, onnipresenza, verità assolute, pochi dubbi e soluzioni certe, pronte da comprare. Il mondo sembra di chi urla più forte per avere (o vendere) la vacca. Quanto inquina le nostre giornate questo tipo di rappresentazione del proprio lavoro, se non di se stessi? Quanto spazio toglie a confronti più costruttivi questo ragliare costante?

Non studiare è irresponsabile

L’interdisciplinarietà dei lavori che hanno a che fare con il digitale può essere vertiginosa: a volte esalta, a volte spaventa. Credere di dominarla è un inganno: non studiare è impossibile, così come pensare di sapere abbastanza – figuriamoci tutto. Il lavoro concreto ha sempre accanto una traccia di ricerca e studio costanti.

A un certo livello di esperienza molto si può fare in autonomia, certo. Ma – tornando alla domanda iniziale – perché è così raro sentire un professionista esperto dire “ho fatto un corso su questo, ho imparato delle cose”? C’è qualcosa di cui vergognarsi, si cala di rango? E siccome ci tengo a razzolare come predico, vi spiego cosa ho studiato di recente e perché.

Ho scelto di studiare i dati

«No, io di numeri non capisco niente, sono laureata in Lettere!», era un alibi che non mi avrebbe fatto onore nemmeno se avesse avuto senso. Però è vero: io di numeri non capisco niente. Anche se lavoro soprattutto con le parole, nel 2019 farei un lavoro a metà se mi ostinassi a non capire come stanno funzionando una volta che le ho mandate in giro per il mondo. Senza contare che i dati non sono necessariamente solo numeri.

Oggi che i progetti editoriali hanno un così grave problema di sostenibilità, rifiutarsi di avere almeno le basi per comprendere i dati che ci stanno dietro – o per saper scegliere uno specialista che ci affianchi nel farlo, se serve – credo che sia una cecità autoinflitta (spesso addirittura sbandierata) molto grave.

Ho scelto di verificare e rafforzare quanto conoscevo di quest’ambito e ho dato un’occhiata all’offerta formativa online, conciliando le lezioni con il mio tempo e la difficoltà che per ora ho nel pianificare trasferte, e considerando in futuro di approfondire con un corso in aula.

Dati: le basi

Ho pensato a una partenza soft, e ho scelto i corsi della Dataninja School. Il format per la parte teorica è molto fresco e adatto a chi ha poco tempo; il progetto, però, richiede tempo e concentrazione: devo ancora concluderli, ma li ho trovati molto chiari e persino accattivanti. Fanno venire voglia di metter mano a quei benedetti fogli di calcolo!

L’homepage della Dataninja School

SEO

Volevo dare una forma migliore a quanto sapevo di SEO, e mi sono resa conto che sapevo molto meno di quanto credevo. Ho cominciato leggendo Google SEO di Marco Ziero per Apogeo, dei cui manuali apprezzo l’attenzione editoriale e autoriale a non portare in libreria testi che invecchiano in dieci giorni.

L’ho trovato così ben fatto che ho seguito anche il corso online dell’autore su Digital Update, con molta soddisfazione: a questo affiancavo appena potevo i webinar di SeoZoom, con l’intento di sentire più voci sullo stesso argomento, e per affinare lo spirito critico.

Oltre che per fare ordine nelle informazioni che credevo di avere, queste basi mi sono state molto utili per imparare a disinnescare i fumogeni di chi si presenta come esperto SEO e anche copywriter e anche Ux Writer (oggi si usa) e anche… cos’altro hai detto che ti serviva? Un social media manager? È esperto anche di quello, basta che gli paghi una fattura.

Davvero difficile che una sola persona abbia tutte queste competenze in profondità. Io sicuramente non le ho: mi è molto utile, quindi, avere gli strumenti per saper scegliere bene qualcuno con cui collaborare, quando serve.

L’homepage di Digital Update

Analytics

Volevo migliorare nell’uso di Google Analytics. Come prima cosa ho seguito i corsi della Analytics Academy di Google stessa: anche qui un format molto efficace e pratico. Per non sentire solo l’oste che parla del suo vino, però, ho seguito anche il corso su Google Analytics, sempre di Digital Update.

A questo punto sarai cintura nera, penserete voi. Proprio no, bocciata. È la “materia” di cui sono meno soddisfatta: il mio errore è stato non applicare subito a un progetto concreto le cose che ho imparato, e ho finito per dimenticarne gran parte.

Cos’altro ho imparato studiando?

  • Ad autovalutarmi. L’onestà nel dirmi che c’è qualcosa che dovrei sapere meglio e non so quasi per niente mi fa crescere. Fingere no. Più difficile è stanare qualcosa che credo di sapere, ma in realtà conosco in modo approssimativo. Riconoscerlo è un buon inizio.
  • A non trascurare la pratica. Se non applico quello che imparo, in materie che mi sono poco congeniali, lo dimentico all’istante. Lo sapevo fin dai tempi di scuola, ma EHI, pensavo che la scuola fosse finita, di essermela cavata. No.
  • Ad assumermi onori e oneri del tempo speso a studiare. Così ho smesso di avere l’ansia di dovermi mostrare competente in tutto per paura di non poter sostenere la competizione (e di perdere la fattura pagata). Vivere il lavoro come una gara non mi interessa, e a differenza di quanto può sembrare, non è affatto per forza una gara.
  • A non perdere tempo con gli spot. Ho imparato a seguire persone che mi arricchiscono, esperte in un campo e non in tutti, in grado di dire pubblicamente “non lo so”, e con un equilibrio tra vita e lavoro che mi sia di ispirazione. Non ho mai amato competizione e chiasso, mi piace che non inquinino neanche le mie relazioni online.
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3 commenti

Mattia 28/08/2019 - 09:07

Gran bell’articolo, grazie per la tua condivisione in materia di “approfondimento”.

L’interdisciplinarietà dei lavori che hanno a che fare con il digitale può essere vertiginosa: a volte esalta, a volte spaventa. Credere di dominarla è un inganno: non studiare è impossibile, così come pensare di sapere abbastanza – figuriamoci tutto. Il lavoro concreto ha sempre accanto una traccia di ricerca e studio costanti.

Quello che hai scritto qui è di un’importanza smisurata.

Reply
Letizia Sechi 29/08/2019 - 08:20

Grazie Mattia :)

Reply
Editoria digitale, 2019 - Letizia Sechi 04/09/2019 - 06:14

[…] quando si tratta di master pensati per chi già lavora e deve migliorare delle competenze – e come sapete gode già per questo della mia stima. La freschezza nei punti di vista, nelle domande che hanno una […]

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